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Una breve analisi

della marina italiana durante la seconda guerra mondiale

Nel Mediterraneo, la situazione di potenza in termini quantitativi appariva equilibrata; la nostra Flotta, rilevante per il numero di navi e di unità subacquee, avrebbe potuto sostenere il grave peso di opporsi alle forze navali anglo-francesi ivi dislocate.


9 luglio 1940. Gli incrociatori della seconda Sq. si dirigono sulla Calabria.
(Foto USMM).

Ma dopo l'entrata in guerra, 10 giugno 1940, tale situazione di apparente equilibrio venne gradualmente compromessa da vari fattori che andarono via via manifestandosi e fra i quali furono determinanti:

Il preminente potere aeronavale della Gran Bretagnia
La deficienza, da parte italiana, di apparecchiature di scoperta (Radar) e di combustibile.
La possibilità della Marina inglese di attingere dal rilevante connettivo navale e tecnico industriale di cui poteva disporre, rimpiazzando le perdite in Mediterraneo con le risorse navali di altri settori.


La nostra Flotta, tuttavia, in oltre tre anni di duro impegno, contenne il potere dell'avversario e giunse alla fase prearmistizio in condizione di far pesare ancora, sulla bilancia dei patteggiamenti, le sue navi da battaglia.

Le unità italiane combatterono in tutti gli Oceani; gli uomini, incursori dei mezzi d'assalto, sommergibilisti, osservatori aerei, marinai delle grandi e piccole Unità e del Reggimento San Marco tutti indistintamente, si distinsero per tenacia e valore in obbedienza alla legge che quando la Patria è in guerra, si obbedisce fino all'estremo sacrificio. Affiancata da quella mercantile, la Marina Militare Italiana tra il 1940 e il 1943, nonostante l'aspro contrasto delle forze navali e aeree britanniche, riuscì a far arrivare in Africa Settentrionale l'86% dei materiali ed il 92% degli uomini ad essa affidati nei porti di partenza.

Alcuni dati illustrano eloquentemente lo sforzo compiuto dalla Marina nell'imminente conflitto che vide i nostri equipaggi impegnati in tutti i mari e durante il quale, assistiti dagli aviatori, i marinai andarono oltre i limiti del dovere, in relazione ai mezzi disponibili, affondarono 412 mila tonnellate di naviglio da guerra avversario contro 270 mila perdute.

L'attività navale bellica si riassume in tre milioni di ore di moto con un totale di miglia percorse di circa 37 milioni, pari a 2000 volte il giro dell'equatore; quelle dell'aviazione da ricognizione marittima in 126 mila ore di volo con 31.107 missioni.

Il traffico italiano nell'Africa Settentrionale, con l'Albania e con la Grecia, fu continuo con una media di quattro convogli in mare. Non si ebbe mai vera interruzione a tale traffico; un risultato di eccezionale rilievo, se si considera la relatività delle forze e l'ubicazione della base di Malta. Il traffico britannico venne invece limitato a soli quattordici grandi convogli di rifornimento di Malta protetti dalle squadre dislocate a Gibilterra e ad Alessandria.

Le esigenze di convogli, specialmente di quelli diretti in Africa Settentrionale mobilitarono tutte le nostre unità dalle più grandi alle più piccole; esse dovettero affrontare l'estrema difficoltà di una navigazione insidiata dalle maggiori flotte del mondo, da una potentissima aviazione e dai sommergibili avversari. Specie dopo il 1941, transitare nel Mediterraneo, sulle rotte obbligate verso l'Africa, poteva considerarsi un assurdo.

Eppure la Marina mercantile assolse mirabilmente il proprio compito, pagando con l'affondamento, o comunque la perdita, dal 10 giugno 1940 all'8 agosto 1945, di 2.513 navi per 3 milioni e 522,120 tsl.

La Medaglia d'Oro al Valor Militare alla Bandiera delle Forze Navali, quella concessa alla Marina Mercantile, al comando dei Mezzi d'Assalto, all'incrociatore "San Giorgio", al sommergibile "Scirè"; le 158 Medaglie d'Oro al Valore e le 4 al Valore di Marina, agli uomini, costituiscono la misura più alta dell'eroismo, del sacrificio e della dedizione alla Patria offerti dalla Marina durante il corso delle operazioni belliche dal 1940 al 1945.


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