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Azioni
a cura di Antonio Falvo
Il primo attacco ad Alessandria, base navale della flotta inglese del Mediterraneo, fu pianificato per la notte tra il 25 ed il 26 agosto 1940 ad opera del sommergibile IRIDE, appositamente attrezzato per il trasporto di quattro S.L.C. ( siluri a lenta corsa, poi diventati famosi con l’appellativo di maiali ) condotti dagli equipaggi Birindelli-Paccagnini, Franzini-Lazzaroni, Tesei-Pedretti, Toschi-Lazzari. Riserva il sottotenente di vascello Durand De la Penne. Tutti nomi allora sconosciuti ed oggi glorioso patrimonio della Marina Italiana.
L’IRIDE lasciò La Spezia il 12 agosto, destinazione il Golfo di Bomba (circa 100 Km ad ovest di Tobruk) dove fu raggiunto dalla torpediniera CALIPSO che trasportava gli equipaggi, gli SLC e tutto il materiale occorrente. Nell’ancoraggio di Bomba era presente anche la nave appoggio MONTE GARGANO. Purtroppo, nel pomeriggio del 21 agosto, le navi furono sorvolate a bassa quota da alcuni aerei britannici di ritorno da una incursione su obiettivi poco distanti dall’ancoraggio. L’insolita presenza, in acque solitamente deserte, venne segnalata quindi al Comando inglese che nel primo mattino del giorno 22 effettuò un ricognizione aerea più accurata e successivamente predispose l’attacco con 3 aereosiluranti Swordfish decollati dalla portaerei EAGLE. Le nostre navi furono colte totalmente di sorpresa. Uno degli Swordfish si portò a circa 200 metri dall’IRIDE e sganciò un siluro da una quota di non più di 10 metri. Il sommergibile, colpito a prora affondò in pochi minuti su di un fondale di 20 metri. Gli equipaggi degli SLC, tutti esperti subacquei, ma privi dei respiratori che erano rimasti all’interno del sommergibile, si prodigarono fino all’inverosimile per il salvataggio di alcuni membri dell’equipaggio rimasti intrappolati nello scafo. Falliva così il primo tentativo dei nostri assaltatori alla base di Alessandria d’Egitto. Il secondo tentativo ebbe luogo il 29 settembre simultaneamente ad un analogo attacco alla base di Gibilterra. Il sommergibile GONDAR trasportò gli equipaggi fino all’entrata del porto di Alessandria ma, per l’assenza dalla base di naviglio rilevante, Supermarina annullò l’operazione. Purtroppo il GONDAR mentre tentava di disimpegnarsi venne attaccato da navi inglesi specializzate nella caccia antisom. Dopo molte ore, sottoposto a numerosi lanci di bombe di profondità, fu costretto ad emergere per i danni riportati e si autoaffondò ad opera dello stesso equipaggio. I supersiti, tra i quali figurava Elio Toschi, venne catturato e trascorse il resto del conflitto in un campo di concentramento inglese. Il Comandante Valerio Borghese che guidava l’analoga missione contro Gibilterra, egualmente fallita, si sarebbe chiesto a lungo se gli inglesi fossero informati preventivamente delle nostre azioni. Nulla però si è potuto accertare in merito. Anche il Prof. Alberto Santoni, uno dei più noti studiosi di problemi navali ed autore del libro “Il Vero Traditore” dedicato alle intercettazioni del sistema ULTRA Intelligence non ha raccolto elementi al riguardo. Un nuovo attacco, questa volta con grande successo, fu condotto nella notte dal 18 al 19 dicembre 1941 quando tre “maiali” con equipaggio di due uomini ciascuno violarono il porto militare di Alessandria. Il sommergibile SCIRE’ guidato dal Comandante Borghese era incredibilmente riuscito a mettere in acqua i “maiali” in un punto vicinissimo all’imboccatura del porto. Approfittando poi dell’ingresso di una nave inglese e della conseguente apertura delle ostruzioni di sbarramento, i tre SLC, condotti dal tenente di vascello Luigi Durand De la Penne, dal capitano del Genio Navale Antonio Marceglia e dal capitano delle Armi Navali Vincenzo Martellotta, coadiuvati dai capi palombaro Emilio Bianchi e Mario Marino e dal sottocapo Spartaco Schergat, riuscirono a penetrare all’interno della base navale. Superate notevoli difficoltà i tre equipaggi riuscirono a piazzare le cariche esplosive sotto gli scafi delle corazzate VALIANT e QUEEN ELIZABETH e della petroliera SAGONA che aveva ormeggiato al fianco il cacciatorpediniere JERVIS in fase di rifornimento. Nonostante la loro cattura e la custodia a bordo della stessa nave, la VALIANT, che avevano appena minato, De la Penne e Bianchi si rifiutarono di dare informazioni sulla ubicazione della carica. Solo a pochi minuti dall’esplosione il tenente De la Penne chiese di incontrare il comandante e gli comunicò l’imminenza dello scoppio e la necessità di mettere in salvo l’equipaggio. Ciò nonostante, fu ricondotto in un locale al disotto della linea di galleggiamento dal quale però ebbe la fortuna di poter uscire dopo la terribile esplosione. Alle ore 6,00 del 19 dicembre la prima detonazione devastò la petroliera SAGONA ed il cacciatorpediniere JERVIS. La carica sotto la VALIANT esplose alle 6,20 e quella sotto la QUEEN ELIZABETH alle 6,24. Le cariche erano fissate alle alette di rollio delle chiglie e pesavano circa 300 Kg ciascuna.Tutti e sei gli assaltatori furono catturati, alcuni qualche giorno dopo l’azione, e trascorsero in prigionia il resto del conflitto. Non vi sono dubbi che questa impresa resta memorabile ed assume tutti i caratteri di una leggenda.. (Trani tradotti da: Alan Raven and John Roberts, British Battleships of World War II, Arms and Armour Press, Londra, 1976) "La carica sotto la Valiant esplose a sinistra della torretta A ed implose la carena per un’area di circa 20 metri per 10 metri. Danni interni si estesero dalla linea di centro fino ai vari compartimenti intorno alla carena, il magazzino munizioni A ed I vari compartimenti adiacenti fino al ponte superiore. Le turbine principali e secondarie non furono danneggiate, ma gli ingranaggi della torretta A furono distorti in aggiunta a danni minori all'impianto elettrico. La nave tocco fondo, ma in caso di necessità, avrebbe potuto navigare. Riparazioni di emergenza furono fatte in uno dei bacini di Alessandria, e riparazioni successive furono effettuate a Durban tra il 15 aprile ed il 7 di luglio." "L'esplosione sotto la Queen Elizabeth avvenne sotto le caldaie B e raggiunse le torrette A e X. Danni alla carena si estesero per un’area di 65 metri per 30 metri ed incluse entrambi le carene di dritta e sinistra. Le caldaie A, B e X e I magazzini munizione per le salve da 4.5 pollici si allagarono immediatamente ed altri compartimenti seguirono. Le caldaie, gli impianti elettrici furono danneggiati seriamente, ma gli armamenti furono lasciati intatti. Gli impianti idraulici alle torrette furono danneggiati e queste potettero essere mosse solamente manualmente ed ad un tasso di efficienza molto minore. La nave affondò, ma fu temporaneamente portata a galla per riparazioni. Successivamente, fu trasferita negli Stati Uniti alla base navale di Norfolk dove riparazioni cominciarono il 6 settembre 1942 e furono terminate il 1 giugno 1943. La Queen Elizabeth fu messa fuori servizio per un totale di 17 mesi e mezzo." |
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